Paolo Bandinu

 

intervista a cura di Serena Trinchero

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1 – Il tuoi lavori giocano su diversi media e sulla compenetrazione dei diversi elementi e riferimenti spazio-temporali che ognuno di questi porta con sé. “Meandro Rosso”, come altre tue opere, esiste sia in versione video che still, potresti spiegarmi in che modo differiscono queste due presentazioni per te?
Concepisco i video come un susseguirsi di quadri, questo deriva in parte dalla mia radice pittorica e allude alla chiave di lettura tipica del dipinto. Grazie ad una struttura non narrativa, le singole immagini acquisiscono più valore, riuscendo a celare il significato che viene rappresentato solo in modo simbolico per lasciare spazio all’immaginazione e all’interpretazione.
Da una parte cerco di presentare i lavori da un punto di vista personale, creando una mia visione in movimento raccontata attraverso delle “storie pittoriche”, dall’altra, vorrei che lo sguardo si soffermasse sui singoli frame come di fronte a un dipinto, in modo che lo spettatore sia libero di poter ricostruire la propria storia.

2 – I personaggi che rappresenti sono sempre a metà tra ricerca e fuga, come animali in gabbia in uno spazio costretto. Rappresenta la tua visione dell’uomo contemporaneo?
Sicuramente gioca un ruolo importante il fattore inconscio, l’uomo che guarda se stesso.
L’idea è quella di focalizzare l’attenzione su personaggi che si confrontano con le proprie paure in un meandro di pensieri, una ricerca che porta alla fuga e riconduce allo stesso tempo al punto di partenza.

3 – Anche i luoghi in cui ambienti le tue storie sono espressione di un forte straniamento, mi appaiono spesso come non luoghi, fondali che portano in sé le tracce di chi li ha vissuti. In particolare qui è il colore, che funziona come un amplificatore emozionale, a costituire l’elemento cardine. Potresti parlarci meglio di questi due elementi: colore e ambientazione?
Le ambientazioni si riferiscono spesso a luoghi mentali, segnati da linee prospettiche che delimitano una dimensione interna. Stanze, spazi privati dove si materializzano visioni in bilico tra realtà e immaginario. I pochi elementi di arredo, a volte solo accennati, si trasformano o vengono cancellati come ad evidenziare lo scorrere del tempo e l’alterazione del ricordo.
Il colore, spesso il rosso, accentua il senso di chiusura e oppressione che soffoca, immerge le figure in un’atmosfera filtrata di illusione.

4 – “Meandro Rosso” è sicuramente debitore dell’immaginario di registi come Lynch, Fellini e Risi. Che significato ha il cinema per te e in particolare qual è il ruolo di queste figure di riferimento nella tua poetica?
Reputo il cinema un’arte completa capace più che mai di influenzare società, stili e culture, guardo tantissimi film.
Meandro Rosso” è una chiara citazione ai film di questi tre registi. In un certo senso ho ritrovato nel loro mondo il mio immaginario, soprattutto per quanto riguarda la rappresentazione onirica della realtà e per come nei loro film vengono messi a nudo gli stati d’animo umani, rendendo labile la linea che separa pensiero, immaginazione e sogno.

5 – Dalla tua biografia leggo che attualmente vivi a Berlino. È necessario per un artista italiano emigrare per ottenere un riconoscimento?
Penso che non sia fondamentale emigrare per ottenere riconoscimenti, ma credo anche che sia  fondamentale confrontarsi, guardarsi intorno per vedere cosa accade oltre il proprio cortile. Berlino è una città multiculturale in continuo fermento e crescita, questo sicuramente può influire sulla pratica quotidiana, sul fare arte.

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